Non poteva mancare una nuova riforma del sistema previdenziale.
Nel tempo, a partire dal 1993, con la riforma “Amato” il sistema previdenziale ha assistito a numerose modifiche, integrazioni e cambiamenti. L’ultimo, in ordine di tempo, la riforma Fornero ha creato malumori e contrasti, appena mediati dall’introduzione dell’Ape volontario e dal cumulo gratuito dei contributi introdotto dalla legge finanziari del 2017.
Ma non è bastato.
Il programma sottoscritto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle ha previsto che bisognasse provvedere all’abolizione degli squilibri del sistema previdenziali introdotti dalla riforma delle pensioni c.d. Fornero. Il Governo Conte – Di Maio – Salvini ha quindi annunciato quota 100 per tutti per l’accesso alla pensione. Si tratta di un sistema, simile all’ex pensione di anzianità, in vigore fino al 2011, con accesso alla pensione con una quota (100) data da una combinazione di età anagrafica minima di 64 anni e almeno 35 anni di contributi. Quindi con due opzioni minime di 64 anni d‘età e 36 anni di contribuzione ovvero 65 anni d’età e 35 anni di contribuzione.
Gli attuali requisiti per la pensione, oggi con la Legge Fornero, prevedono che la pensione di vecchiaia si raggiunge a 66 anni e 7 mesi nel 2018 ed a 67 anni di età nel 2019 e successivamente 67 anni e 3 mesi dal 2021, con un minimo di contributi versati pari a 20 anni. Coloro che vogliono adire alla pensione anticipata devono accumulare 42 anni e 10 mesi di contributi nel 2018 e dal 2019 dovranno accumulare 43 anni e 3 mesi di contributi versati. E dal 2021 ben 43 anni e 6 mesi. Chiaramente, con il sistema attuale è molto probabile il raggiungimento dei 67 anni di età per la pensione di vecchiaia, prima di raggiungere i requisiti per la pensione anticipata. Del resto per accumulare quasi 43 anni di contributi anticipando l’età di accesso alla pensione a prima di 67 anni, occorrerebbe aver iniziato a lavorare prima dei 24 anni ed avere una contribuzione, appunto, di 43 anni consecutivi.
Con quota 100 viene, di fatto, reintrodotto il trattamento pensionistico d’anzianità, abrogato dalla legge Fornero, che consentiva una discreta anticipazione rispetto alla vecchiaia. Ricordiamo che sino al 2011 era possibile andare in pensione d’anzianità con quota 96. La pensione di anzianità per il 2011 prevedeva una doppia possibilità per il lavoratore. Maturare nel 2011 quota 96 con età minima di 60 anni e almeno 35 anni di contributi per i lavoratori dipendenti o maturare quota 97 con età minima di 61 anni e almeno 35 anni di contributi per i lavoratori autonomi. Inoltre si poteva ottenere il trattamento previdenziale con un’anzianità contributiva di 40 anni di contributi versati, indipendentemente dall’età.
Ma per le “quote” non si era trattato di un totale annullamento.
La stessa legge Fornero aveva consentito che i requisiti d’età e di contribuzione per andare in pensione con le norme precedenti e maturati entro il 31 dicembre 2011 restassero validi anche per ottenere il pensionamento per gli anni successivi al 2011. E la stessa così detta “opzione donna”, in pratica, indicava proprio una quota determinata dall’età minima di 57 anni e 35 anni di contribuzione per avere la lavoratrice la pensione. Anche per le attività usuranti e per i lavoratori turnisti con attività in periodo notturno sono previste una serie di “quote” che in verità raggiungono il limite della follia.
Nello specifico i lavoratori notturni possono andare in pensione con una anzianità contributiva minima di 35 anni, una età minima pari a 61 anni e 7 mesi ed il contestuale perfezionamento della quota 97,6 se svolgono la loro attività notturna per almeno 78 giorni l’anno. Se il lavoro notturno è svolto per meno di 78 giorni l’anno, i valori di età e di quota pensionistica sono aumentati di due anni se il lavoro notturno annuo è stato svolto per un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 e di un anno se le giornate annue in cui si è svolto il lavoro notturno sono state da 72 a 77!
Con l’introduzione della quota 100 restano, comunque, diversi aspetti da chiarire. Sarà interessante conoscere se nel computo dei 35 anni di contribuzione rientreranno o meno anche gli anni eventualmente riscattati o ricongiunti? Se vi saranno delle penalizzazioni all’ottenimento della prestazione? Se saranno reintrodotte le “famigerate” finestre con cui si ritardava ulteriormente l’uscita dei pensionandi che avevano, comunque, già maturato i criteri previsti per il pensionamento? Se resterà la pensione di vecchiaia a 67 anni nel 2019?
Intanto viene annunciato dal nuovo Governo anche il requisito per la pensione anticipata con 41 anni di contributi e il rilancio dell’opzione donna a 57-58 anni di età con sistema interamente contributivo.
Vedremo come tutte queste novità funzioneranno e se saranno trovate le coperture finanziarie per attuare questo corposo programma.