La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 2496 del 1° febbraio 2018, aveva stabilito che la Pubblica Amministrazione è obbligata al pagamento delle ferie residue per il dipendente prossimo alla pensione a prescindere dalla mancata richiesta avanzata dallo stesso durante il servizio. Successivamente con la sentenza n. 15652 del 14 giugno la Cassazione, sez. lavoro aveva dato ragione al dipendente che aveva prodotto ricorso su un unico e specifico motivo di denuncia relativa alla violazione dell’art. 19 CCNL comparto sanità 1.09.1995.
Nel ricorso si sosteneva il carattere irrinunciabile del diritto alle ferie ed al diritto all’indennità sostitutiva in caso di ferie non fruite, atteso che non è desumibile una rinuncia alle stesse dalla mancanza di una formale richiesta da parte del dipendente. La sentenza della Corte territoriale, aveva correttamente indicato la disciplina contrattuale, ritenendo determinate, pur in assenza della prova documentale della mancata fruizione per gli anni 2006-2007 e 2008, l’assenza di una formale richiesta.
Ma la Cassazione, con l’ordinanza n. 20091 del 30 luglio, ha invece respinto le richieste, proprio di un dirigente dell’azienda sanitaria locale di Reggio Emilia che aveva chiesto un’indennità sostitutiva dei 246 giorni di ferie accumulati in dieci anni di servizio, modificando completamente quanto già stabilito nel recente passato e affermando che nel settore pubblico la mancata fruizione delle ferie di per sé non dà alcun diritto alla loro monetizzazione in favore del lavoratore, a meno che questi riesca a provare che la mancata fruizione dei giorni di riposo sia stata causata da “eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore“.
Non basterà, quindi solo la parola ma servirà la documentazione con tutti i particolari del caso per provare proprio le cause eccezionali e di forza maggiore che abbiano impedito il godimento delle ferie.
I giudici hanno negato la legittimità del pagamento ad un primario, già in servizio alla Ausl di Reggio Emilia, che, quando aveva cambiato struttura, andando poi a dirigere un altro reparto in provincia di Mantova, aveva totalizzato 246 giorni di ferie a causa di pretese carenze d’organico e per cui aveva chiesto un indennizzo alla sua precedente azienda sanitaria.
La Corte di Appello d Bologna aveva negato l’indennizzo, concesso in primo grado, perché il sanitario non aveva provato a sufficienza che la sua rinuncia all’utilizzo delle ferie fosse dovuta ad esigenze non rimandabili ovvero indipendenti dalla sua volontà.
Prodotto ricorso in Cassazione, sostenendo che la particolare condizione numerica dei sanitari afferenti al proprio reparto impediva di realizzare un piano ferie compatibile con le esigenze dello stesso reparto, non ha ottenuto, per questi motivi, il riconoscimento richiesto.
I dirigenti pubblici che abbiano sommato numerosi giorni di ferie non godute sperando di poterle monetizzarle, una volta andati in pensione ovvero trasferitisi in altra azienda o servizio pubblico, dovranno quindi sempre dimostrare più ampiamente possibile che la rinuncia alle vacanze, pur non dipendendo dalla propria volontà, sia stata indispensabile.
Claudio Testuzza