C’era molta attesa nel mondo dei pensionati per la prevista sentenza della Corte Costituzionale nel merito dell’adeguamento delle trattamenti, la famosa “perequazione”, falcidiati negli ultimi anni da numerosi interventi restrittivi.
La questione era stata sollevata dalla Corte dei Conti della Lombardia a seguito di un ricorso presentato da 81 pensionati contro l’Inps in cui lamentavano il negato adeguamento dei propri assegni “già da un lustro” per il ripetersi di norme dello stesso tenore, riducendo in tal modo il potere di acquisito del 5,78 % nel biennio 2012/2013 e del 6,94 % nel triennio 2012/2014.
La questione rimessa alla Corte, in particolare, riguardava la violazione dell’art. 3 della costituzione per difetto di ragionevolezza e di proporzionalità. Gli articoli incriminati erano il 24, commi 25, lett. b, c, d ed e, e il 25-bis del dl n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011 e il n. 1, comma 483 della legge n. 147/2013).
Ricordiamo che la perequazione è l’incremento delle pensioni che si applica ogni anno, dal primo gennaio, su tutte le pensioni in base alla variazione del costo della vita Istat e il coefficiente è fissato annualmente con un decreto del Ministero dell’Economia.
Sino al 31 Dicembre 2011, cioè, prima della Riforma Fornero la legge 388/2000 aveva suddiviso, a partire dal 1° gennaio 2001, la perequazione in tre fasce all’interno del trattamento pensionistico complessivo e l’adeguamento veniva concesso in misura piena, cioè al 100 % per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90 % per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75 % per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo.
Dal 1° gennaio 2012 con ilDecreto legge 201/2011era stato invece disposto il blocco dell’indicizzazione nei confronti delle pensioni che erano di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps.
Dal 1° gennaio 2014, la legge 147/2013, aveva, poi, introdotto un sistema di rivalutazione suddiviso in cinque scaglioni prorogato poi dalla legge di stabilità 2016 sino al 31 dicembre 2018. Per le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo l’adeguamento avviene in misura piena,100 %. Per le pensioni di importo superiore e sino a quattro volte il trattamento minimo viene riconosciuto il 95 % dell’adeguamento. Per quelle di importo superiore e sino a cinque volte il minimo l’adeguamento è pari al 75 %. L’adeguamento scende al 50 % per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il minimo e al 45 % per i trattamenti superiori a 6 volte il trattamento minimo Inps.
Su queste norme si era, poi, inserita la Sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 con la quale la Consulta aveva dichiarato incostituzionale il blocco biennale previsto dalla Legge Fornero sui trattamenti superiori a 3 volte il minimo. Ma per controbattere la censura della Corte l’esecutivo è intervenuto con il decreto legge 65/2015. Un provvedimento che ha garantito una rivalutazione parziale e retroattiva solo dei trattamenti ricompresi tra 3 e 6 volte il minimo Inps lasciando sostanzialmente confermato il blocco biennale sui trattamenti superiori a 6 volte il minimo Inps.
Un giudizio simile a quello odierno era stato già prodotto, nel recente passato, con cui era stato affermato che il blocco della perequazione, e il conseguente “trascinamento” dello stesso negli anni successivi non costituisse un sacrificio sproporzionato rispetto alle esigenze, di interesse generale, perseguite dalle disposizioni impugnate.
Si tratta, certo, di un passaggio piuttosto singolare in quanto legittima una riduzione dell’assegno pensionistico strutturale. Infatti la mancata perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo Inps riduce la base perequativa sulla quale si applica l’indicizzazione negli anni successivi e, pertanto, ogni anno la pensione risulta inferiore all’importo che avrebbe avuto in assenza del blocco.
In altri termini, la Corte aveva affermato che le pensioni di oltre sei volte la minima non avessero
“molto sofferto”, pur avendo perduto per sempre il 5 % del loro importo!
La Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 96, depositata l’11 maggio scorso, ha stabilito, riprendendo quanto già espresso con la precedente sentenza n. 250/2017, che è infondata la questione di legittimità costituzionale del blocco di rivalutazione delle pensioni per l’anno 2014, con riferimento alle fasce d’importo superiori a sei volte il minimo Inps ,circa 2.972 euro mensili. Infatti, la questione, si legge nell’ordinanza, è manifestamente infondata perché la suprema Corte ha già dichiarato non fondate identiche questioni di legittimità costituzionale, concernenti le stesse disposizioni e sollevate in riferimento agli stessi parametri costituzionali
Pertanto, riguardo alle norme discusse, la Corte ha già avuto modo di affermare che il legislatore ha tutelato le esigenze finanziarie mediante sacrificio parziale e temporaneo dell’interesse dei pensionati, con la scelta “non irragionevole” di riconoscere la rivalutazione in misure decrescenti con l’aumentare dell’importo complessivo delle pensioni percepite, fino ad escluderla nel caso di pensionati con trattamenti superiori a sei volte il minimo Inps.
Pertanto è stata, in pratica, riproposta la motivazione che era stata espressa anche in precedenza dalla sentenza n. 70 del 2015, con cui era stato ribadito che la rivalutazione automatica è vero che sia uno “strumento tecnico” necessario per salvaguardare le pensioni dall’erosione del loro potere d’acquisto a causa dell’inflazione e per assicurare nel tempo il rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti di quiescenza e che vada, comunque, salvaguardata quale garanzia di un reddito che non comprima le “esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la prestazione previdenziale”, ma che il legislatore deve sempre muoversi anche “bilanciando, secondo criteri non irragionevoli, i valori e gli interessi costituzionali coinvolti”. E cioè l’interesse dei pensionati a preservare il potere d’acquisto delle proprie pensioni e le esigenze finanziarie e di equilibrio del bilancio dello Stato.