Il lavoratore, secondo una logica squisitamente assicurativa ma anche previdenziale, nel corso della vita lavorativa, accumula dei risparmi con i versamenti pensionistici, il 33 % del proprio reddito lavorativo, che gli verranno resi al tempo del pensionamento o che, in caso di morte, verranno pagati ad altri beneficiari aventi diritto con l’attribuzione del trattamento di reversibilità.
Ma se questo ragionamento appare del tutto regolare, tuttavia, anche la stessa Corte di Cassazione, fino a pochi anni addietro, sosteneva che, in caso di morte del pensionato dovuta a fatto illecito di terzi (es. sinistro stradale), il danno patrimoniale patito dai superstiti andava defalcato della quota di pensione di reversibilità ottenibile – a seguito della morte del loro caro – da parte di questi ultimi.
Secondo questa precedente decisione della Cassazione, se i superstiti cumulassero pensione e risarcimento del danno patrimoniale ne avrebbero ottenuto un ingiustificato arricchimento.
Questo, però, non vale, ad esempio, per le polizze vita (caso morte) che il coniuge o genitore defunto avesse stipulato in vita per i propri superstiti. Ma se la pensione di reversibilità assolve una funzione previdenziale assimilabile ad una assicurazione vita, allora perché non dedurre dalla quota di risarcimento patrimoniale anche i benefici delle polizze vita che i superstiti andranno ad ottenere a seguito della morte del loro caro?
Nel merito della questione, chiaramente di aspetto, davvero pirandelliano, è finalmente intervenuta la Cassazione a Sezione Unite, con la sentenza n. 12568 del 22 maggio scorso.
Il principio fissato dalle sezioni unite ha risolto il contrasto di giurisprudenza esistente in merito ma il cui esito positivo per la ricorrente non è stato assolutamente facile da raggiungere. Infatti l’azione giudiziaria era stata proposta dalla vedova di un lavoratore deceduto a seguito d’incidente stradale per avere il risarcimento del danno. La compagnia assicurativa aveva negato il risarcimento adducendo il motivo del fatto che la donna, per effetto di quello stesso sinistro, aveva avuto diritto alla pensione di reversibilità dal marito defunto.
Sia il Tribunale sia la Corte d’ Appello le avevano danno torto, sostenendo che il danno da decesso sarebbe stato assorbito interamente dalla pensione di reversibilità.
I Supremi giudici si sono trovati a dover fornire chiarimenti in una materia così delicata e complessa e con orientamenti differenti. Sulla questione la Cassazione ha valutato due orientamenti fra loro fortemente contrastanti. Il primo, esclude che, nella liquidazione del danno patrimoniale per la morte di familiare, si tenga conto della pensione di reversibilità a favore dei congiunti della vittima, perché tale pensione non ha natura risarcitoria ma previdenziale. Il secondo orientamento ritiene piuttosto che dall’ammontare del risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui vada, comunque, sottratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto, perché tale pensione ha funzione indennitaria, cioè rivolta a sollevare i familiari dallo stato di bisogno derivante dalla scomparsa del congiunto.
Alla Corte era stato chiesto se, sul piano strettamente patrimoniale, la pensione fosse da considerare o meno parte integrante del risarcimento patrimoniale. E la risposta della Cassazione è stata in senso assolutamente negativo. Questo perché – si legge nella sentenza – è completamente differente la natura e la motivazione che sta alla base della corresponsione della pensione e del risarcimento vero e proprio. L’erogazione da parte dell’istituto previdenziale della reversibilità si basa sul rapporto di lavoro del de cuius e sui contributi da questo versati. In conclusione i giudici di legittimità hanno bocciato seccamente quanto stabilito dalla Corte d’appello che erroneamente aveva assorbito, nel risarcimento da sinistro stradale il valore capitale della pensione di reversibilità costituita dall’Inps a favore della vedova. La Corte ha così accolto l’appello della vedova cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa anche per le spese del giudizio di Cassazione alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che dovrà necessariamente adeguarsi al principio di diritto enunciato dai giudici di piazza Cavour.
Claudio Testuzza