I pensionati non potendo contare su rinnovi contrattuali né su progressioni di carriera come per i dipendenti, sarebbero vittime designate del processo inflazionistico, e senza un qualche meccanismo di difesa i loro trattamenti, specie quelli più bassi, perderebbero rapidamente il loro potere di acquisto. Secondo quanto stabilito dalla regola generale, l’importo delle pensioni è adeguato annualmente in base all’andamento dell’indice del costo della vita. Tuttavia questo modesto ristoro è stato più volte negato o ridotto, anche se in più occasioni la Corte Costituzionale abbia affermato che il trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione, deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore ed anche al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita. Tale proporzionalità ed adeguatezza devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo, ma vanno assicurate anche successivamente in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta. Tuttavia, ancora una volta i pensionati hanno visto negati i loro diritti.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto, infatti, il ricorso presentato da 10.059 pensionati contro il decreto Poletti sulla perequazione delle pensioni dal 2012. I giudici di Strasburgo hanno definito “irricevibile” il ricorso sostenendo che le misure prese dal Governo e dal Legislatore non violano i diritti dei pensionati mentre la riforma del meccanismo della perequazione delle pensioni è stato introdotta per proteggere l’interesse generale, ossia il livello minimo di prestazioni sociali “garantendo” allo stesso tempo la tenuta del sistema sociale per le generazioni future in un periodo in cui la situazione economica italiana era particolarmente difficile. Tutto era nato dalla norma della Legge Fornero che aveva bloccato per il 2012 e il 2013 l’adeguamento automatico all’inflazione delle pensioni con un importo mensile superiore di tre volte al minimo Inps (circa 1.450 euro lordi). Questa norma era stata bocciata dalla Corte Costituzionale e il Ministro del Lavoro Poletti, durante il Governo Renzi, aveva varato un decreto stabilendo una restituzione della rivalutazione ma non totale per tutti il 100 % è stato previsto solo per le pensioni fino a 3 volte il minimo Inps; a quelle da 3 a 4 volte era stato concesso il 40 %, che scende al 20 % per gli assegni superiori di 4-5 volte il minimo, e al 10% per quelli tra 5-6 volte. Chi percepisce una pensione superiore a 6 volte il minimo Inps era stato escluso dalla restituzione.
I pensionati, avevano presentato un ricorso contro il decreto Poletti (n.65/2015) sostenendo che il provvedimento, adottato per rimediare alla bocciatura da parte della Corte Costituzionale di quanto previsto dal decreto “salva-Italia” del 2011, avrebbe prodotto un’ingerenza immediata sulle loro pensioni per il 2012 e 2013 e permanente per effetto del blocco sulle rivalutazioni successive. Inoltre, secondo i ricorrenti, la misura non ha perseguito l’interesse generale, è sproporzionata e avrebbe violato il diritto alla proprietà. La chiamata in causa della Cedu aveva rappresentato l’ultimo passaggio possibile per i pensionati che contestavano, appunto, il provvedimento con cui il Governo ha ripristinato solo in parte la situazione ante 2012, dato che la Corte Costituzionale con la sentenza 250/2017 lo aveva ritenuto legittimo. I Giudici di Strasburgo hanno evidenziato che il governo italiano è intervenuto in una situazione economica difficile al fine di perseguire una finalità di utilità pubblica. E l’intervento ha contemperato le esigenze degli interessi generali con la salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini. La rimodulazione dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione, rilevano i Giudici, ha comportato una perdita annuale compresa tra l’1,62 e il 2,70 % nel 2012 e nel 2013 e ciò non ha determinato un impatto significativo sui pensionati. Inoltre il meccanismo introdotto dal decreto legge 65/2015 ha consentito di recuperare in parte l’effetto trascinamento della mancata perequazione “piena” sugli anni seguenti.
Infine, e questo potrà rappresentare una particolare incidenza sui provvedimenti previsti nel prossimo futuro su i trattamenti pensionistici in essere, la Cedu ricorda che il legislatore nazionale ha la possibilità di intervenire, in ambito civile, con provvedimenti che determinino anche effetti retroattivi.
Claudio Testuzza, 20 luglio 2018