Il Consiglio dei Ministri del 20 giugno 2018 ha approvato, in esame definitivo, il decreto legislativo che recepisce la direttiva 2014/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che consente di adeguare l’ordinamento nazionale a quello comunitario nel settore della previdenza complementare, in attuazione della legge 9 luglio 2015, n. 114 (legge di delegazione europea 2014).
La direttiva persegue l’obiettivo di accrescere la mobilità dei lavoratori tra gli Stati membri e migliora l’acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari dei lavoratori.
Il provvedimento integra la normativa già in vigore, in particolare il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante la Disciplina delle forme pensionistiche complementari, con disposizioni concernenti, tra l’altro, il termine di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, ridotto a tre anni rispetto a quello ordinario di cinque anni, per i lavoratori il cui rapporto di lavoro in corso cessa per motivi indipendenti dall’acquisizione del diritto ad una pensione complementare e che si spostino tra Stati membri dell’Unione europea. Prevede, inoltre, il mantenimento della posizione individuale maturata presso la forma pensionistica complementare e il trasferimento ad altra forma pensionistica ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, nonché gli obblighi di informazione nei confronti degli iscritti attivi con riferimento ai diritti pensionistici complementari.
Ricordiamo che le pensioni integrative sono un’importante fonte di reddito in molti paesi europei. Ma poiché il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale non viene applicato nella maggior parte dei regimi integrativi, l’UE aveva concordato regole speciali per proteggere i diritti dei lavoratori che si spostano da un paese europeo all’altro. Queste regole valgono per i regimi pensionistici collegati all’attività lavorativa (“pensioni professionali”).
In alcuni regimi pensionistici integrativi i lavoratori possono anche perdere i loro diritti quando si spostano all’interno dell’UE, ed a volte occorre soddisfare determinate condizioni prima che i diritti pensionistici vengano irrevocabilmente acquisiti. Ad esempio, un dipendente che lascia il lavoro e si trasferisce in un altro Stato membro potrebbe non ottenere alcun diritto se non ha lavorato abbastanza a lungo. Ed anche se il lavoratore ha maturato i diritti pensionistici quando lascia il regime, il loro valore futuro potrebbe risultare eroso dall’inflazione se non viene adeguato nel tempo.
La direttiva 2014/50/UE , sull’acquisizione e la salvaguardia dei diritti pensionistici complementari adottata nell’ aprile del 2014, stabiliva norme minime per la protezione dei diritti pensionistici dei lavoratori che si spostano da un paese europeo all’altro definendo che i diritti pensionistici sono irrevocabilmente acquisiti (“investiti”) entro e non oltre tre anni di rapporto di lavoro. Affermava, poi, che i contributi dei lavoratori non vanno persi. Questo significa che se un dipendente lascia un regime pensionistico prima di aver maturato i diritti, ottiene il rimborso dei contenuti. I regimi non sono autorizzati a fissare un periodo minimo di acquisizione più elevato di 21 anni. Inoltre quando lascia un regime pensionistico, il lavoratore ha diritto a mantenere i diritti maturati, a meno che non accetti che gli vengano pagati e i diritti pensionistici degli ex lavoratori devono essere tutelati allo stesso modo di quelli dei lavorati attivi. La tutela può variare a seconda del tipo di regime. Ad esempio, il valore dei diritti pensionistici può essere adeguato secondo i tassi d’inflazione o le retribuzioni, in genere in un piano a prestazione definita. I lavoratori hanno sempre diritto ad informazioni su come un’eventuale mobilità possa influenzare i loro diritti pensionistici, così come anche gli ex lavoratori e i loro superstiti, se il sistema fornisce prestazioni ai superstiti, hanno diritto a informazioni sul valore e il trattamento dei loro diritti.
Claudio Testuzza, 22 Giugno 2018